LAURENTINA - ACQUA ACETOSA

L'abitato e la necropoli - Parte I*

di Leonardo Schifi

 

 

*su gentile concessione dell’autore

L'abitato protostorico

 

L’insediamento protostorico individuato all’ottavo chilometro a sud di Roma, lungo la moderna Via Laurentina in località Acqua Acetosa, di fronte la città militare della Cecchignola, è stato oggetto di un'accurata campagna di indagini sistematiche, a cura della Soprintendenza archeologica di Roma, dal settembre del 1976 ad oggi.

 

La scoperta dell'insediamento è avvenuta in seguito ad un’attenta ricognizione territoriale, in occasione della creazione del nuovo quartiere abitato previsto dal Piano di Zona 38 Laurentino.

 

Stupisce che il sito sia stato quasi ignorato dalla letteratura archeologica, salvo alcune indagini condotte nel 1839 dalla Duchessa di Sermoneta, sia per l'abbondanza di frammenti ceramici presenti in superficie, sia per la caratteristica forma del pianoro dell'abitato.

 

La presenza di una sorgente di acqua minerale e la posizione strategica della collina, dominante la valle del fosso dell’Acqua Acetosa, a poca distanza dal Tevere, devono aver certo favorito la scelta del luogo per un centro abitato, a partire dall’VIII secolo a.C., epoca in cui si formano nel Lazio nuovi insediamenti ed in cui anche altri, di origine più antica, fra cui la stessa Roma, vengono ad assumere un carattere più unitario, chiusi da imponenti opere difensive, tipiche dell’area laziale; tali strutture erano articolate essenzialmente nella successione di un terrapieno fortificato e di un fossato artificiale antistante.

 

L'abitato protostorico, seppur di modeste dimensioni, dovette avere una certa importanza, determinata dalla sua posizione ai confini del territorio della Roma regia e dalla vicinanza del Tevere, importante via commerciale e di comunicazione, con l'area delle città di Veio e di Falerii.

 

Dai dati raccolti, in attesa dello scavo sistematico dell’insediamento, si può ipotizzare una decadenza del sito verso la fine del VII secolo a.C.; molto probabilmente una ripresa di vita si ha durante il IV e III secolo a.C., quando, per motivi di difesa, Roma dovette erigere tutta una serie di cittadelle fortificate, in posizione strategica, spesso coincidenti con i siti dei villaggi protostorici come nei casi di Ficana (Acilia) e Politorium (Tenuta di Castel di Decima).

 

Anche se per ora resta problematica l’identificazione dell'abitato protostorico con uno dei nomi dei centri latini "scomparsi senza lasciare tracce" come riporta Plinio (Naturalis Historia III, 68-70), la sua ubicazione a sud di Roma, non lontano dagli insediamenti di Ficana e Politorium, ben si adatta al tradizionale accostamento dei tre centri, Ficana, Politorium e Tellenae, ricordati da Livio (Annales 1, 33, 1, 4) e distrutti da Anco Marcio (640-616 a.C.) per realizzare l’espansione di Roma verso il mare.

 

Le testimonianze di vita, attestate per i secoli successivi, non sembrano togliere credibilità alle fonti storiche che parlano della distruzione di questi centri da parte di Roma: la conquista romana segna, infatti, la loro fine politica con lo smantellamento delle fortificazioni, tuttavia la vita dovette continuare, anche se solo a livello di insediamenti molto verosimilmente di carattere agricolo-pastorale, ed era certo questo uno degli scopi della conquista romana.

  

Fig. 1 - Ricostruzione della struttura di una capanna dell'abitato protostorico

(da AA.VV. 2000, pag. 317)

 

Topografia Generale

 

L’area dell’abitato protostorico occupava il pianoro di una collina tufacea di forma allungata, leggermente semicircolare, con orientamento est ovest.

Alle due estremità del pianoro erano situati gli unici accessi possibili in posizione strategica e facilmente difendibili: l'accesso est è ancora chiaramente identificabile tramite due tagliate artificiali nel banco di tufo, creanti uno stretto passaggio obbligato.

 

Il lato sud era naturalmente difeso da alte pareti a strapiombo, ai cui piedi scorreva il fosso dell’Acqua Acetosa. Il lato nord, in parte scosceso, in parte raccordato al pianoro antistante, fu fortificato agli inizi dell'VIII secolo a.C. realizzando un taglio artificiale lungo circa 200 metri. Contemporaneamente venne realizzato sul ciglio della collina, in modo da accentuarne il dislivello, un terrapieno, tuttora conservato, di 11 metri di altezza, costituito da scheggioni di tufo e terra.

 

Questa struttura, oltre a formare un'efficace barriera difensiva dell'abitato, permetteva il passaggio di un tracciato stradale che, dal fondo valle, ad ovest, risaliva verso est, costeggiava la collina dell'abitato, attraversava il pianoro della necropoli e si dirigeva infine verso nord est.

 

Tale percorso, identificabile fino all’attuale Via Laurentina, consisteva in un'ampia tagliata artificiale nel banco di tufo, larga fino a 6 metri e di profondità variabile; il fondo della tagliata, le cui scarpate erano rivestite da scaglioni di tufo, era occupato dalla sede stradale ampia circa 2 metri, costituita da un primo strato in scaglie di tufo e terra battuta ricoperto da un lastricato sempre in tufo.

 

Con molta probabilità, già a partire dal V secolo a.C., la sede stradale lastricata, in cui sono evidenti le profonde solcature dovute all’usura per il passaggio dei carri, incominciò ad essere interrata.

 

La superficie del pianoro occupata dall'insediamento protostorico è di poco superiore ai due ettari, ma indagini svolte nell'area pianeggiante ad est della collina, verso la moderna Via Laurentina, hanno provato l’esistenza di ampliamenti dell’abitato, forse in una seconda fase, fuori della collina fortificata.

 

Pur non essendo ancora stati eseguiti scavi sistematici dell'abitato, numerosi frammenti di ceramica, raccolti durante i sondaggi lungo il terrapieno di fortificazione, ne permettono la datazione agli inizi dell'VIII secolo a.C.

 

Durante l'esecuzione di alcuni saggi di scavo nel settore centrale del terrapieno, presso la sommità della collina, sono stati rinvenuti alcuni frammenti ceramici che hanno attestato una frequentazione del sito già a partire dall'età del Bronzo Finale (XII-X secolo a.C.). Il materiale recuperato sembra però trovarsi in giacitura secondaria, in una zona interessata da successivi lavori di sistemazione delle fortificazioni; costituendo una quantità piuttosto cospicua, questi frammenti, sono in perfetta analogia con il materiale che si riscontra nei vicini abitati di Ficana, in località La Perna (Castel di Decima) e al Torrino.

 

Resti, infine, di uno stanziamento probabilmente databile tra la fine dell'età Eneolitica e la prima età del Bronzo (III-II millennio a.C.), in gran parte distrutto dalle cave di pozzolana, sono stati individuati lungo la moderna Via Laurentina nei pressi dell'incrocio con Via Byron.

 

Fig. 2 - Ricostruzione di una parte dell'abitato protostorico

(da AA.VV. 2000, pag. 283, fig. a)

La necropoli

 

I dati più interessanti e più appariscenti sono stati ricavati dalla necropoli che, a differenza dell’abitato, è stata scavata quasi completamente ed ha consentito il recupero di oltre centosettanta sepolture.

 

L’importanza della scoperta è data dal fatto che essa rappresenta l’unica necropoli di cui si ha fino ad oggi uno scavo completo e sistematico, il cui studio potrà fornire nuovi ed importanti dati nella ricostruzione del quadro storico e culturale del Lazio antico.

 

L’esame dei corredi e l'organizzazione e struttura delle tombe ci permette di seguire lo sviluppo sociale all’interno della comunità che, seppur esigua, mostra lo stesso processo, verso una sempre maggiore articolazione e differenziazione dei gruppi familiari, attestato anche nelle altre necropoli laziali.

La necropoli dell'abitato si sviluppava, sul pianoro a nord della collina, per almeno 500 metri di lunghezza ed aveva una larghezza di 100 metri circa. Questo sviluppo è stato determinato dalla presenza di un percorso stradale che risaliva la valle del fosso dell'Acqua Acetosa, ad ovest, e si dirigeva, superata la collina dell’abitato, verso il pianoro della necropoli a nord est.

 

Le sepolture, allineate sui due lati di quest'asse viario, sono state individuate fino dove la Via Laurentina e le cave moderne non hanno eliminato la possibilità di ulteriori accertamenti.

 

L’apertura di queste cave, verso la fine dell'800 inizio '900, oltre a creare un’ampia lacuna nel tessuto della necropoli, ci impedisce di poterne fissare i limiti più lontani, mentre è quasi sicura l’estensione in larghezza.

 

Dallo scavo sistematico della parte di necropoli risparmiata dalla cave, si è comunque accertata la presenza di una chiara stratificazione orizzontale.

Le tombe sono scavate tutte nel banco di tufo a profondità variabile, sotto uno strato superficiale di humus con uno spessore di poche decine di centimetri.

Pur non rimanendo quasi mai resti ossei dei defunti si riesce a definire il sesso degli inumati dagli oggetti di corredo personale.

 

L’orientamento delle tombe e la disposizione degli oggetti all'interno della sepoltura mutano a seconda delle diverse epoche, confermando quanto avviene anche nelle altre necropoli laziali. Questa caratteristica è una testimonianza concreta dei mutamenti del rito funebre legati all’evoluzione sociale ed economica delle comunità.

 

Le sepolture più antiche, risalenti alla fase avanzata II B del Periodo Laziale (circa 830-770 a.C.), sono raggruppate su un pianoro antistante il fossato difensivo dell’abitato; tale disposizione è stata determinata dalla presenza del tracciato stradale che risaliva, da ovest, la valle del fosso dell’Acqua Acetosa e, dopo aver costeggiato il terrapieno di fortificazione del villaggio, si dirigeva a nord est verso il pianoro della necropoli.

 

Le tombe di questo periodo, complessivamente dodici, per lo più femminili, con una sola deposizione maschile, sono a fossa stretta di forma rettangolare allungata; in genere il corpo del defunto si trova deposto al centro della fossa, che ha un orientamento grosso modo est ovest, mentre il capo è sempre rivolto ad est.

 

Gli oggetti del corredo, in genere due tazze e un'anfora in ceramica d'impasto, sono collocati ai piedi dell'inumato, mentre sul corpo sono deposti quelli di ornamento personale.

 

Per quanto si può giudicare, visto l’esiguo numero di tombe a causa dello sconvolgimento operato dalle cave di fine secolo e dal successivo uso dell’area per abitazioni e lavori agricoli, non si hanno differenze vistose nel rito e nella composizione degli oggetti di corredo che sono quelli tipici delle altre necropoli laziali.

 

L’unica sepoltura della fase III del Periodo Laziale (770-730/720 a.C.) è una tomba femminile rinvenuta sul ciglio a nord est della cava di pozzolana.

La tomba è una fossa orientata a sud ovest nord est con il capo del defunto volto a sud ovest.

 

Il corredo, non particolarmente ricco, presenta una certa abbondanza di fibule ed oggetti di ornamento personale, fra cui spiccano piccole spirali in argento, e pochi vasi d’impasto deposti ai piedi del defunto.

 

In quest'area sono state rinvenute anche un gruppo di sepolture databili all’orientalizzante antico (ultimo quarto dell'VIII secolo a.C. - primo quarto del VII secolo a.C.) e riferibili alla fase IV A del Periodo Laziale (730/720 a.C.).

 

Sono state individuate ventiquattro sepolture: otto sono femminili e sette maschili; delle altre, o perché sconvolte o per mancanza di elementi utili, non si è potuto definire il sesso. Le tombe a fossa di questo periodo sono in genere più larghe e hanno un orientamento a sud ovest nord est, con il capo volto a sud ovest.

 

Alcune delle sepolture si differenziano dalle altre per dimensioni maggiori e per la presenza di una nicchia o loculo sulla parete alla destra del defunto, ove sono raccolti, su un livello più alto del piano di deposizione, i vasi del corredo quasi a voler perpetuare nella tomba il concetto di tesaurizzazione dei beni di consumo.

 

Comune è anche l'usanza di cospargere sul fondo della fossa i frammenti di uno o più vasi rotti intenzionalmente. Le tombe non presentano una disposizione tale da far pensare a gruppi o rapporti di dipendenza, tranne in un caso, dove purtroppo le sepolture sono sconvolte e prive di oggetti.

 

Le tombe maschili contengono in genere pochi ornamenti personali consistenti in una o più fibule ad arco serpeggiante e rari ganci di cintura; sono caratterizzate dalla presenza delle armi e si possono dividere in due gruppi: quelle con spada e lancia, con corredi più ricchi sia per quantità sia per qualità, e quelle con sola lancia.

 

Nelle tombe maschili il corredo vascolare, in media una dozzina di vasi, non si differenzia da quello delle sepolture femminili che invece sono caratterizzate dalla presenza della fusarola e dalle più o meno numerose fibule in bronzo e con arco rivestito a dischi d'ambra.

 

Nelle tombe più ricche si nota la presenza di oggetti di particolare ricercatezza: coppie di fermatrecce a nastro d'argento con lavorazione a filigrana, bracciali, vaghi d’ambra e pasta vitrea ed eccezionalmente anche ornamenti in oro. In questo periodo il corredo vascolare delle sepolture è composto, oltre che dai tradizionali vasi di impasto tazza e anfora, anche da nuove forme d'impasto di fattura locale (piatti, calici, coppe, scodelle e olle) o di argilla depurata dipinta d'importazione o di imitazione (skyphoi, kotylai, ed oinochoai) attestanti l’introduzione dell’uso del banchetto funebre, mutuato dall'ambiente greco coloniale, come confermano la presenza del coltello e degli spiedi con resti di ossa d’animali ed i recipienti in bronzo, soprattutto bacili, tripodi e patere.

 

Il processo di differenziazione dei corredi raggiunge la sua massima esplicazione in un gruppo di sepolture poste su un pianoro ad ovest dell’attuale Via Laurentina.

 

Il centinaio di tombe rinvenute è databile all'orientalizzante medio e recente (secondo e terzo quarto del VII secolo a.C.) e riferibile alle fasi IV A e IV B del Periodo Laziale (640/630-580 a.C.). Le tombe sono disposte a formare ampi circoli o gruppi più ristretti e solo poche si trovano isolate.

 

Gli orientamenti delle sepolture sono i più disparati, anche se, per diverse sepolture resta quello sud ovest nord est con il capo volto a sud ovest. Questi circoli si formano a partire dagli ultimi anni dell’VIII secolo a.C. e, per necessità di spazio, sono realizzati sulla parte del pianoro più lontana dall’abitato, spezzando così apparentemente la stratigrafia orizzontale della necropoli.

 

Sono stati individuati cinque circoli principali, all’interno dei quali, in posizione centrale e/o periferica, le tombe dei membri più importanti del gruppo assumono proporzioni decisamente più vistose, con fosse di grandi dimensioni, definite a "pseudo-camera" (da metri 3.40 x 2.20 fino a metri 4 x 3.50), con due pilastri centrali di legno o di pietra che sorreggono una copertura probabilmente lignea protetta da un tumulo esterno in scheggioni di tufo e terra.

 

Nella fossa, alla destra del defunto situato sul fondo o su una banchina laterale, si hanno ricchi corredi comprendenti fino ad un centinaio di vasi, con numerosi oggetti di bronzo laminato, decorato a sbalzo con ornamenti geometrici, fra cui spiccano gli scudi, i flabelli e i vassoi incensieri che caratterizzano anche i corredi principeschi delle tombe di Palestrina e di Castel di Decima nel Lazio, di Cuma in Campania e dell'Etruria.

 

Altri elementi distintivi sono, oltre il carro, oggetti in avorio finemente lavorato, le armi in bronzo e ferro per l'uomo e la ricca stola trapuntata in ambra con monili in argento e oro per la donna.

 

Numerosi sono anche i vasi di bronzo fra cui oinochoai, patere baccellate, tripodi, bacili e ciste; completano i corredi varie decine di vasi d'impasto (aryballoi, kotylai, skyphoi, askoi e oinochoai) e piatti in argilla figulina dipinta. Di particolare rilievo è la presenza degli unguentari di argilla dipinta e del bucchero nelle forme e nei tipi fra i più antichi e raffinati, uguali a quelli attestati a Cerveteri, che confermano la simultanea diffusione di tale ceramica in ambiente laziale fin dal secondo quarto del VII secolo a.C.

 

Fra i vasi di impasto spiccano tipi esclusivi come gli eleganti askòi a ciambella verticale e i grandi sostegni sovradipinti sormontati da enormi tazze con alta ansa verticale e con ampia insellatura, o da crateri di tipico gusto orientalizzante, ornati da protomi di grifo.

 

Tali recipienti erano usati nei banchetti per miscelare ed attingervi il vino; questa bevanda, la cui produzione nel Latium vetus è fatta risalire dalle fonti al secondo Re di Roma, Numa Pompilio, era in uso, in effetti, fra i gruppi aristocratici Latini fin dalla fine dell'VIII secolo a.C.

 

Nella stessa epoca compaiono nelle tombe più ricche anfore vinarie di importazione, da ambiente fenicio occidentale. La provenienza esotica del vino accresceva la sua preziosità e come tale veniva, infatti, deposto all'interno di queste tombe principesche, insieme agli oggetti di prestigio denotanti il rango dei defunti.

 

La costruzione di tombe a camera o "pseudo-camera" nell’orientalizzante medio denota, infatti, un accumulo di ricchezza da parte di alcuni gruppi familiari, la cui autorità si basava fondamentalmente sul possesso della terra da cui essi traevano le indispensabili risorse e le premesse dei loro ruoli di prestigio.

 

La loro volontà di distinguersi, anche nella morte, con un tenore di vita sfarzoso, è rispecchiato nelle sepolture a cui sono riservate zone particolari nell’ambito della necropoli, con la creazione, intorno alla tomba del probabile capostipite del gruppo, di un'ampia area circolare di rispetto riservata ai membri della famiglia.

 

L’ostentazione del lusso nella sfera pubblica, oltre che dalla celebrazione di quei banchetti che i servizi per miscelare liquidi, fanno ritenere frequentati da numerose persone, era assicurata dalle armi da parata, da vesti riccamente adorne e dall’impiego di carri a due ruote che, da uso bellico, passano a mezzi di trasporto denotanti il rango.

 

Tutte le tombe più ricche, a camera o "pseudo-camera", sono incluse in circoli monumentali e circondate da sepolture, in numero variabile, con fosse di dimensioni ridotte e corredi di consistenza inferiore; la presenza di queste tombe si può facilmente attribuire ad individui di gruppo sociale più basso, e il carattere più modesto dei corredi non può che confermare il rapporto di clientela o di dipendenza nei confronti delle prime.

 

Questa è una testimonianza che ci fornisce una prova concreta di quel processo di stratificazione sociale che nel Lazio è in corso di consolidamento, in corrispondenza del passaggio da una fase preurbana ad una fase urbana vera e propria che si realizza per Roma nel periodo dell’orientalizzante recente (640/630-580 a.C.).

 

Il mutamento del rito funebre, che mette fine alla deposizione di oggetti nelle tombe di VI secolo a.C., ci impedisce di seguire ulteriormente la storia della comunità della Laurentina in questo secolo attraverso i corredi tombali.

 

La presenza tuttavia di alcune tombe prive di corredo, all'interno di circoli con tombe più ricche, ma con struttura tale da escludere l'appartenenza ad individui di umile condizione sociale, fa pensare ad una sopravvivenza di vita nel VI secolo a.C.

 

Nella necropoli della Laurentina si può cogliere, anche visibilmente, nella tipologia e distribuzione delle singole sepolture, quel processo di progressiva differenziazione di alcuni gruppi aristocratici che, nell’ambito delle comunità laziali, trova la sua piena affermazione nella prima metà del VII secolo a.C., manifestandosi a livello ideologico non solo attraverso riti e corredi funebri, veri e propri accumuli di beni di prestigio, ma anche ed in particolare nel tipo di sepolture monumentali a tumulo circondate da canali che evidenziano grandi circoli scavati nel banco di tufo.

 

Lo scavo della necropoli fornisce, pertanto, nuovi importanti elementi chiarificatori sia nel definire meglio i possibili caratteri distintivi delle varie comunità laziali, sia ampliando la nostra conoscenza sulla ricchezza e complessità della produzione nel Lazio in epoca orientalizzante.

 

I numerosi oggetti, rinvenuti durante gli scavi della necropoli, sono attualmente in corso di restauro, presso il Museo Nazionale Romano alle Terme di Diocleziano, in attesa di trovare un adeguato luogo di esposizione a cui ben si adatterebbe, nell'ambito di una sistemazione a parco archeologico dell'intero comprensorio, il caratteristico Casale, di origine seicentesca, situato ai piedi della collina dell'abitato protostorico.

 

Fig. 3 - Laurentina Acqua Acetosa. Veduta dall'alto della tomba n.° 70

(da A. Bedini 2000, pag. 357, fig. e)

 

Fig. 4 - Laurentina Acqua Acetosa. Holmos, dalla tomba n.° 70

(da A. Bedini 2000, pag. 358, fig. i)

 

Fig. 5 - Laurentina Acqua Acetosa. Tomba n.° 133

(da A. Bedini 1985)

 

Fig. 6 - Laurentina Acqua Acetosa. Holmos dalla tomba n.° 133

(da A. Bedini 1985)

 

 

Fig. 7 - Laurentina Acqua Acetosa. Corredi dalle tombe n.° 65 e 133

(da A. Bedini 1985)

 

Tombe di gruppi familiari residenti fuori dall'abitato protostorico

 

L'organizzazione delle sepolture per gruppi familiari trova una conferma nell'area dell'abitato della Laurentina Acqua Acetosa per la presenza, fuori dalla zona della necropoli, di gruppi di tombe che probabilmente si riferiscono a nuclei familiari residenti all’esterno della collina fortificata dell’abitato protostorico. La presenza di questi nuclei di sepolture sembra fornire una prova concreta del legame fra ceti emergenti e la proprietà della terra.

 

Si tratta in questo caso di gruppi familiari che continuano a vivere nella campagna, a cui sono legati dalla proprietà e/o dal possesso, e che non hanno ancora aderito a quel processo di aggregazione in cui prende forma l’ostentazione di lusso che conosciamo invece bene dai dati offerti dalla necropoli dell’abitato.

In cinque zone indagate è stata rinvenuta una serie di tombe databili a partire dalla fase III del Periodo Laziale (inizi dell'VIII secolo a.C.) fino all'inizio del VI secolo a.C.

 

La composizione dei corredi, pur tenendo conto della frammentarietà di alcuni, non mostra particolari squilibri ed è di un tipo medio. La presenza di queste sepolture può essere messa in relazione a strutture abitative riferibili ad ampliamenti dell’abitato, forse in seconda fase, fuori dalla collina fortificata.

 

L’area e gli edifici abitativi di Epoca Arcaica

 

L’area interessata dagli edifici arcaici è un'ampia fascia di forma rettangolare situata al margine del pianoro antistante la collina fortificata dell’abitato protostorico. Durante la costruzione delle strutture tutta l’area dovette essere portata a livello del banco di tufo, sia per ricavare i piani delle abitazioni e per le fondazioni dei muri, sia per poter regolare il deflusso superficiale delle acque; con tali operazioni alcune delle tombe più antiche della necropoli (prima metà dell’VIII secolo a. C.) sono state manomesse od anche riutilizzate.

 

Le aree degli edifici sono state denominate V°, VI° e VII . L’area V°, verso ovest, e l’area VII° e VI°, verso est, formano due gruppi di strutture divise da un avvallamento nel banco di tufo; questa depressione, in origine un canale naturale per il deflusso delle acque ad andamento sud ovest nord est, fu riempita in seguito da successive massicciate di tufi in modo da assumere, forse già a partire dal VII secolo a.C., un aspetto definitivo di strada divisoria fra i due gruppi di edifici.

 

Lo studio dei materiali rinvenuti ha fornito una datazione delle strutture, tra la seconda metà del VI secolo a.C. e un successivo abbandono nella prima metà del V secolo a.C.

 

La loro relativa breve durata, confermata oltre che dalla mancanza di ceramica più tarda, anche dall’apertura di tombe di individui adulti, sia a fossa con loculo laterale sia a camera, databili alla prima metà del V secolo a.C., è in singolare accordo con la documentazione di altri siti laziali coinvolti nella stessa epoca da un periodo di momentanea decadenza.

 

A sud di quest’area sono state individuate alcune tracce di altre strutture arcaiche ancora da esplorare, allineate anch’esse lungo un probabile tracciato stradale scavato nel tufo.

 

Gli edifici arcaici nell'Area V°

 

I tre edifici scavati in quest’area sono stati denominati, partendo da ovest verso est: V° 1, V° 2 e V° 3. Tali strutture si allineano, a sud, su di un fronte unico, con una divergenza per il terzo edificio più verso est; questo fattore, insieme ad altri elementi, fa pensare a periodi successivi di costruzione, anche se non molto distanti nel tempo.

 

L’area antistante gli edifici presentava un interro artificiale con battuto durissimo, successivamente scavato dai solchi di una strada che hanno inciso anche il banco di tufo sottostante. Questo tracciato viario, con andamento ovest nord ovest est sud est, costeggiava, in alto, il fossato difensivo entro cui passava invece il tracciato che, salendo dalla valle del fosso dell’Acqua Acetosa, attraversava la necropoli per dirigersi verso nord est.

 

I tre edifici avevano un tetto con copertura di tegole e coppi d'impasto, mentre dei muri perimetrali restano solo le fondazioni realizzate in tufo.

I pavimenti degli ambienti erano costituiti in genere da battuti di terra e tufo sbriciolato.

 

Non vi sono elementi per stabilire il tipo di alzato, quali ad esempio fori di pali nel banco di tufo o nei tratti di fondazione conservati, che testimonino con sicurezza l’impiego dell’elevato a telaio.

 

Edificio Arcaico 1 nell'Area V°

 

E’ il primo dei tre edifici a partire da ovest e si discosta dal secondo per la presenza di uno stretto corridoio. L'edificio presenta una pianta più definita: quattro ambienti sul fronte sud e due ambienti più interni ai lati, con al centro una probabile area aperta inglobante due pozzi e una cisterna; tale struttura copriva un’area grosso modo di forma rettangolare.

 

A nord est doveva esserci un’area di pertinenza, forse un orto o recinto per il bestiame, perimetrata in parte da un canale per la raccolta delle acque che scendeva fino alla strada su cui si affacciava la casa, costeggiandone il lato sud ovest.

 

Sul fronte sud, come del resto accertato anche per gli altri due edifici, si apriva la porta di ingresso, mancano, invece, elementi sicuri per individuare le porte di comunicazione interne fra i vari ambienti, tranne che per quella subito a destra dell’ingresso.

 

Il vano di ingresso, il terzo da ovest, è caratterizzato da un foro centrale, di forma grosso modo troncoconica, e da una canaletta costruita con due rozzi muretti laterali coperti da lastre di tufo irregolari.

 

L’ambiente a sinistra del vano d’ingresso presentava una massicciata pavimentale realizzata con piccole scaglie di tufo pressate con terra e frammenti di ceramica; resti di una canaletta, coperta da pezzi di tegole, sono stati trovati lungo la parete ovest dell'ambiente. La stanza a destra dell'ingresso, invece, aveva due fosse rettangolari parallele ed attigue che identificano due forni di cottura.

 

Molte sono le incertezze di interpretazione già a livello di planimetria e problematica resta l’identificazione d’uso dei vari ambienti; si può, invece, escludere la continuità d’uso all’epoca dell'edificio della fornace rinvenuta all’interno dell’ambiente a destra del vestibolo.

 

Due fornaci simili ricorrono nei due edifici ad est e a sud della strada che li costeggia: si potrebbe pensare che tali fornaci occupassero l’area prima della costruzione degli edifici, costituendo una sorta di quartiere industriale poi ristrutturato. Come si vede l’interpretazione dell’edificio è molto problematica; quel che è sicuro è che esso costituisce un'unità chiusa, con elementi caratteristici per l’uso domestico, come il forno, i pozzi e la cisterna: tale destinazione degli ambienti è confermata, oltre che dalla ceramica rinvenuta, anche dalla presenza di tombe infantili con resti di inumati entro pentole.

 

I numerosi frammenti ceramici rinvenuti, rappresentati soprattutto da vasi di uso comune d’impasto, di ceramica di argilla depurata e di bucchero, costituiscono un complesso omogeneo databile genericamente tra la seconda metà del VI secolo e gli inizi del V secolo a.C. Determinante infine, per stabilire la cessazione d’uso dell’edificio, è la cronologia dei riempimenti contemporanei di due pozzi, fissabile al più tardi nella prima metà del V secolo a.C.

 

Tombe a camera

 

Nel Lazio la tomba a camera è un tipo di sepoltura particolarmente in uso, in ambiente romano, fin dal periodo dell’orientalizzante recente (640/630-580 a.C.) e concordemente associata alle classi dominanti.

 

A queste sepolture si contrappongono, per quest'epoca, altri tipi di tombe come quelle a cassone, a cappuccina e a semplice fossa o con loculo laterale chiuso da tegole. Alcuni tipi di queste sepolture sono stati rinvenuti nell'area di Casale Massima per lo più sovrapposte alle tombe di VIII-VII secolo a.C.; la mancanza del corredo rende difficile la loro datazione che genericamente può essere fatta risalire al VI-V secolo a.C.

 

L'uso di tombe a camera da parte di membri di famiglie gentilizie risale probabilmente al tardo periodo arcaico e cessa improvvisamente intorno alla metà del III secolo a.C.

 

Di preferenza questi gruppi di sepolture si rinvengono in prossimità di assi viari o ai loro incroci, sfruttando spesso anche le pareti di tufo messe a nudo da canali di erosione delle acque di superficie che dovevano caratterizzare questo territorio.

 

Le tombe a camera che iniziano dalla fine del VII secolo a.C., per divenire più comuni nel corso del VI-V secolo a.C., anche se di piccole dimensioni, fattura rozza, con uno o due loculi laterali e con la chiusura costituita da scaglie o blocchi di tufo, ospitano spesso le deposizioni di parecchi individui denotando un uso prolungato nel tempo.

 

Le caratteristiche tecniche e formali, corridoio d'accesso a scivolo, porte scorniciate di forma rettangolare e il piano di deposizione ricavato in una sorta di nicchia o loculo laterale, sembrano costituire una costante di tutte le tombe ipogee, per lo più di piccole dimensioni ed ad unica deposizione, nel comprensorio della Laurentina, tanto da far pensare ad una tradizione locale.

I corredi recuperati all'interno delle tombe sono riferibili alle ultime deposizioni rinvenute, non disturbate nei loculi o sul riempimento di terra, nello stretto corridoio centrale delle camere. Sul fondo di tale corridoio, e a volte nella parte esterna della zona d'accesso, si rinvengono i resti scheletrici delle deposizioni precedenti: questi resti sono sempre molto frammentari a causa della facile distruzione dei tessuti ossei ad opera sia del dilavamento delle acque, che inondavano periodicamente le tombe, sia della natura particolarmente acida del terreno.

 

Tali fattori rendono pertanto difficile una esatta valutazione di quanti individui potessero essere stati realmente ospitati nelle singole tombe e di conseguenza della durata del loro periodo di uso.

 

Partendo dal dato cronologico certo delle ultime deposizioni, i cui corredi non possono scendere oltre la metà del III secolo a.C., si può ipotizzare con sicurezza un uso a partire dal IV secolo a.C., ma non si può escludere una frequentazione più antica di tali sepolcri.

 

Elementi di datazione diretta ed indiretta ci forniscono, per le tombe di Casale Massima, per quelle dell’Area VII° e della Via dell’Acqua Acetosa Ostiense, un orizzonte cronologico tra la fine del VI e gli inizi del V secolo a.C.

 

Se la scomparsa dei resti scheletrici è giustificata dalle condizioni e dalla natura del terreno, oltre che dalle ovvie azioni traumatiche delle periodiche aperture delle camere, la mancanza di oggetti di corredo databili al VI-V secolo a.C. è come noto imputabile ad una precisa scelta culturale legata a rigide leggi che mettono fine alla deposizione di oggetti all'interno delle tombe. L'avvento della città favorisce infatti una destinazione civica e religiosa di quei beni che prima venivano sacrificati nella tomba come parte inalienabile del morto.

 

I rinvenimenti nella tenuta del Torrino ci assicurano la presenza di un'identica tipologia tombale fino dagli anni finali del VII secolo a.C. con l'attestata continuità di uso per il periodo successivo fino al IV-III secolo a.C.

 

Se non di uso continuato fino da epoca orientalizzante di una stessa tomba, si può parlare di significativa continuità di sepoltura nello stessa area anche per la zona della Laurentina.

 

 

LAURENTINA - ACQUA ACETOSA

L'abitato e la necropoli - Parte II*

di Leonardo Schifi

 

*su gentile concessione dell’autore

Edifici abitativi e tombe di epoca romana

 

Fase Repubblicana

 

Sul pianoro antistante il vallo dell’abitato protostorico, nella zona precedentemente occupata da un casale moderno attualmente non più visibile, sono state rinvenute tracce di un edificio risalente al IV-III secolo a.C.

 

Un'indagine di scavo parziale delle strutture ha permesso di individuare una serie di pozzi e cunicoli, scavati nel banco di tufo, probabilmente collegati ad un complesso sotterraneo per la raccolta idrica; nelle fosse di scarico, trovate nelle immediate vicinanze, si sono potuti recuperare centinaia frammenti di vasi di uso comune d’impasto, di argilla depurata acroma, ceramica a vernice nera dipinta a fasce o sovradipinta.

 

A nord di questo complesso una serie di trincee ortogonali scavate nel banco di tufo, forse utilizzate per usi agricoli, sembrano indicare l'esistenza di un altro edificio a cui si possono anche attribuire alcuni pozzi-cisterna con cunicoli rivestiti d'intonaco idraulico.

 

Anche nell’area di Casale Massima si è riconosciuta una rete di trincee, scavate nel banco di tufo, con probabile destinazione agricola, forse attribuibile ad epoca medio repubblicana, ed un coevo sistema idrico costituito da pozzi-cisterna e cunicoli per la raccolta delle acque meteoriche.

 

Altri resti di due fattorie, insieme ad alcune trincee e fosse riferibili alla piantagione di un vigneto di epoca tardo repubblicana, si segnalano lungo Via dell'Acqua Acetosa Ostiense nell'area di Casale dell'Ara.

 

Strutture probabilmente riferibili ad un altro stanziamento agricolo, con resti di una probabile fossa-cisterna e muri di delimitazione per installazioni di servizio, sono state messe in luce nei pressi dell'incrocio di Via Laurentina con Via di Tor Pagnotta.

 

La presenza di queste strutture abitative è ulteriormente confermata dal ritrovamento di un nucleo di tombe repubblicane nell'area occupata precedentemente dalla necropoli protostorica.

 

Di particolare interesse è stato il rinvenimento nei pressi di Casale Massima, a circa venti metri ad ovest del gruppo di tombe protostoriche, di una grande tomba a camera databile sicuramente al IV secolo a.C.

 

Fase Imperiale

 

Di notevole interesse è l’area occupata da una villa situata lungo Via dell’Acqua Acetosa Ostiense a circa un chilometro e mezzo sulla destra dal bivio con la moderna Via Laurentina. La villa si sviluppava su un’altura tufacea prospiciente a nord est il fosso dell’Acqua Acetosa ed era protesa, verso la collina nota come Centro di Mezzo, con due lingue separate da una sella.

 

L’insediamento sorgeva sulla dorsale orientale che presentava pareti assai scoscese sui lati settentrionale e nord orientale, mentre scendeva più dolcemente ad ovest.

 

L’impianto della villa occupava il pianoro superiore ampliato artificialmente sul fianco occidentale con una spianata sostenuta da poderosi muri di terrazzamento; la maggior parte delle strutture è però conservata solo a livello di fondazione o ad un minimo elevato.

 

Esteso su un fronte di circa venti metri, si è individuato un ampio muro in opera reticolata sostenuto ad intervalli irregolari da contrafforti in simile tecnica costruttiva.

 

A distanza di 30 metri verso sud è stato scoperto un secondo complesso di terrazzamenti sensibilmente danneggiato: esso presentava un ambiente con fondazioni in opera cementizia, formato da un muro inserito in una sacca nel banco di tufo, che correva in senso est ovest parallelamente alla pendenza del terreno, e un secondo muro perpendicolare di maggior larghezza.

 

Nell'area del pianoro e alla base del declivio sono state individuate tracce di un sistema idrico costituito da pozzi e canalizzazioni sotterranee. Per l’inquadramento cronologico dell’impianto gli unici dati a disposizione provengono dalla ceramica recuperata che, insieme al tipo di tecnica edilizia, delinea un orizzonte di epoca augustea.

 

Probabilmente facevano parte di questo vasto complesso alcuni ambienti di servizio e resti di strutture di un impianto termale, situati a circa 150 metri ad ovest della villa, scoperti recentemente durante lavori per l'allargamento di Via Camus nell'area del Piano di Zona Colle Parnaso.

 

Nella zona di Casale Massima sono state rinvenute alcune cave di tufo che, insieme a resti di tracciati stradali di servizio, delineano il prolungarsi nell’uso di quest'area fino ad epoca imperiale.

 

A circa 750 metri a est da questa zona, infine, lungo Viale dell'Esercito, nella città militare della Cecchignola, sorgono i resti di grande cisterna rettangolare databile al II secolo d.C.

 

La struttura, realizzata in muratura di opera listata e rivestimento interno in cocciopesto, è costruita su grandi archi in laterizio e presenta due piani ciascuno con quattro vani rettangolari indipendenti. Sullo spigolo nord est della cisterna, intorno al XV secolo d.C., venne realizzata una torre medioevale che dette il nome a tutto il complesso.

 

Il complesso medioevale

 

A circa 350 metri a nord dell’abitato protostorico sono stati rinvenuti i resti di un casale fortificato di epoca medioevale. Questo complesso, databile dal X al XV secolo d.C., è il primo finora documentato nel Lazio a sud del Tevere.

 

La struttura, di cui si conservano solo le fondazioni, occupa la parte settentrionale del pianoro ed è costituita da una torre a cui sono addossati due ambienti.

 

Il complesso medioevale è circondato da un fossato, scavato nel banco di tufo, formante un recinto grosso modo ellittico, delle dimensioni circa di 60 x 40 metri, all'interno del quale sono state individuate tre cisterne a forma di silos; all'esterno del fossato sono stati invece scavati i resti di due fornaci e di due cisterne per raccolta dell’acqua.

 

A meno di 1300 metri a est da questo complesso, all'interno della città militare della Cecchignola, si conservano i resti medioevali di una vedetta noti con il nome di Torre d'Archetta.

 

La struttura, sorta sullo spigolo nord est di una cisterna romana a grandi archi laterizi (da qui il nome di Torre d'Archetta), era a pianta rettangolare con paramenti in tufelli frammisti a materiale di recupero; presentava finestre, poi murate, con stipiti marmorei e numerosi fori per le travature lignee.

La notevole altezza della torre facilitava il controllo lungo i tracciati stradali della Laurentina moderna e dell'Ardeatina antica.

 

Aree di confine dell’abitato protostorico

 

Tenuta del Torrino

 

Nel 1979 la realizzazione del nuovo quartiere abitato in località Torrino, lungo la Via Ostiense presso il Grande Raccordo Anulare, ha fornito l'occasione per un'indagine archeologica approfondita su una porzione di territorio che, per posizione e conformazione, presentava condizioni particolarmente favorevoli allo stanziamento umano.

 

La ricerca è stata condotta a tappeto su una superficie di circa cento ettari, costituita da due principali propaggini collinari di terreno argilloso calcareo poggianti su strati di ghiaia e sabbia con sottostante banco di tufo; su ognuna di queste propaggini si è ritrovata in modo quasi puntuale una successione di testimonianze di vita.

 

Il risultato più interessante delle ricerche è costituito dall'accertamento della presenza di vita stabile nel comprensorio, dalla seconda metà dell'VIII secolo a.C. fino a tutta l'epoca imperiale romana; inoltre le testimonianze archeologiche, anche se in parte frammentarie a causa della precarietà delle strutture (capanne o edifici con muri a secco e a graticcio) e per le vicissitudini dei luoghi (cave, movimenti di terra, arature, dilavamenti ecc.), sembrano


raggruppate attraverso i secoli intorno a determinati punti in modo da poter essere interpretate come possibili entità terriere, che si sono mantenute tali per un arco di tempo considerevole.

 

 

L'area del Torrino fa parte di un gruppo di alture prospicienti la riva sinistra del Tevere, fra i fossi di Acqua Acetosa e Vallerano a nord e quello di Malafede a sud, a metà strada fra i due antichi abitati di Tellenae (Acqua Acetosa Laurentina) ad est e di Ficana (Acilia) a sud ovest.

 

 

Fig. 10 - Tenuta del Torrino. Veduta aerea della torre medioevale del Torrino (da A. Bedini 1985) 

Il nome del Torrino compare per la prima volta nel secolo scorso in alternativa al toponimo di Torraccia, con cui si indicavano i resti di una torre posta su una collina a sinistra dell'undicesimo chilometro della Via Ostiense.

 

Lo scavo archeologico dell'area ha permesso di mettere in luce i ruderi della torre medioevale, collegati ad una sottostante cisterna rettangolare, all'interno di una villa il cui impianto risale ad epoca augustea; il complesso, in posizione dominante, si estende su una superficie di quasi un ettaro e si dispone a terrazze degradanti verso il ciglio nord della collina.

 

L'importanza della zona è stata confermata dalle ricognizioni superficiali effettuate nel 1978-'79 che hanno identificato, sull'altura presso l'incrocio della Via Ostiense e il Grande Raccordo Anulare, resti di vita attribuibili alla fine dell'età del Bronzo (XII-IX secolo a.C.); gli scarsi frammenti ceramici recuperati in superficie sono però estremamente significativi, soprattutto alla luce del rinvenimento di un medesimo orizzonte culturale nell'area degli abitati di Tellenae (Acqua Acetosa Laurentina), di Ficana (Acilia) e di Casale della Perna (tenuta di Castel di Decima), presso l'abitato protostorico di Politorium.

 

L'area comunque risulta abitata già in epoca più antica in seguito al recupero, su un'altura presso la Via Ostiense, di una sepoltura, con un individuo inumato in posizione rannicchiata, che potrebbe far risalire la frequentazione della zona alla fine dell'Eneolitico o alla prima età del Bronzo (XVIII-XVI secolo a.C.).

 

A circa 500 metri a sud sud ovest della sepoltura eneolitica, sono stati individuati i resti di tre tombe a fossa di cui due, una maschile ed una femminile, risalenti al 730 a.C.; la terza, maschile, databile entro la prima metà del VII secolo a.C.

 

L'area delle sepolture è stata disturbata da interventi di epoca successiva, con


l'apertura di fosse quadrangolari e tombe a cappuccina di età romana, che possono aver probabilmente distrutto altre tombe protostoriche.

Fig. 8 - Tenuta del Torrino. Veduta interna della tomba a camera n.° 2

(da A. Bedini 1985)

 

I resti sconvolti di altre sepolture a fossa del VII secolo a.C. sono stati trovati più ad est presso la cisterna di una villa di epoca tardo repubblicana-imperiale e nella zona già edificata nel comprensorio di Mostacciano.

 

Il rinvenimento più importante è stato fatto a circa 450 metri a sud est del rudere medioevale del Torrino con la scoperta di due tombe a camera databili all'ultimo quarto del VII secolo a.C.

 
Queste due sepolture, scavate nel banco di tufo su un pendio a forma di vasca, si presentano una attigua all'altra con corridoio di accesso e più camere interne di fattura piuttosto rozza; la maggiore delle due, con sei camere, presenta un uso prolungato a tutto il VI secolo a.C.

 

Fig. 9 - Tenuta del Torrino. Oggetti di corredo delle tombe protostoriche A e C (da A. Bedini 1985) 

La presenza di queste tombe deve essere riferita a nuclei familiari residenti nell'area del Torrino, forse sulle vicine alture di Mostacciano e sulla collina di San Ciriaco lungo la Via Ostiense. 

Molto probabilmente la comunità di appartenenza di questi gruppi era quella residente nell'abitato della Laurentina Acqua Acetosa, a cui territorialmente doveva appartenere l'attuale area del Torrino, che costituiva la zona di confine lungo il percorso del fiume Tevere.

 

La presenza di tali famiglie di carattere gentilizio doveva avere, oltre ad una precisa funzione di carattere economico, cioè di controllo delle strade di comunicazione e di gestione dei traffici, anche un importante funzione politica, tutelando in un certo senso i confini del territorio in epoche in cui dovevano essere frequenti i contrasti causati da episodi di sconfinamento a scopo di razzia.

 

Al VI-V secolo a.C. probabilmente, deve risalire la prima sistemazione di un tracciato viario che, salendo dalla Via Ostiense, ad est, tagliava obliquamente il pianoro del comprensorio per poi piegare verso nord, scendendo in una valle nel quartiere di Mostacciano.

 

Quest'asse stradale di lunga percorrenza doveva avere alcune diramazioni secondarie sul lato nord, come attestano i due tratti di tracciato rinvenuti sul pianoro.

 

All'incrocio con una di queste diramazioni, ai limiti del settore occidentale del comprensorio, sono state messe in luce, su un pendio volto a sud est, un interessante raggruppamento di capanne con fosse ellittiche e un pozzo in comune per l'approvvigionamento idrico.

 

Il materiale ceramico rinvenuto attesterebbe una frequentazione dell'area dall'epoca tardo arcaica fino al IV-III secolo a.C.; una successiva occupazione del sito è testimoniata dai resti di una villa databile tra la tarda età repubblicana e quella imperiale.

 

Il tracciato stradale rimase invariato fino ad epoca imperiale, come dimostrano tre gruppi di tombe alla cappuccina, dislocati lungo il percorso, e la tomba a camera ipogea, con all'interno un sarcofago a superfici grezze, rinvenuta presso l'estremità orientale del comprensorio.

 

Nei pressi del Grande Raccordo Anulare, a meno di 650 metri a sud ovest di questa tomba ipogea, sono stati recentemente individuati i resti di un insediamento romano databile alla tarda età repubblicana.

 

Un'altra villa rustica, di cui si conservano, in fondazione, i muri perimetrali di alcuni ambienti di servizio, è situata 600 metri ad ovest di quest'area lungo il Vicolo di Trafusa.

 

Procedendo lungo questo percorso viario, al centro del pianoro, sono stati messi in luce alcuni ambienti riferibili ad una villa risalente tra la tarda età repubblicana e quella imperiale. Tracce di un pozzo-cisterna sono state rinvenute, su una propaggine del comprensorio, a meno di 300 metri a sud sud ovest da questo complesso.

 

A circa 200 metri ad est di questo insediamento sono state individuate tracce di capanne, forse databili al VII-VI secolo a.C., e muri a secco, purtroppo molto frammentari, di un edificio databile ad epoca tardo arcaica. Tale struttura, forse costituita da un cortile porticato con ambienti su due lati, sarebbe stata successivamente distrutta da fosse di epoca medio repubblicana relative ad un impianto di cui si conservano i resti, in parte ipogei, di una grande cisterna rettangolare a blocchi di tufo.

 

Un altro edificio arcaico, realizzato con muri a secco che descrivono un cortile centrale e ambienti sui lati corti nord e sud, è stato rinvenuto a circa 250 metri più ad est nell'area occupata successivamente da una villa rustica.

 

Nel corso della media e tarda età repubblicana, tutte le strutture di quest'area vengono spianate e solcate da canalizzazioni, forse ad uso agricolo, relative all'impianto di un edificio rustico, databile al III-II secolo a.C., di cui si conservano strutture a blocchi di tufo e resti di una grande cisterna rettangolare.

Con la seconda metà del I secolo a.C. l'impianto della villa viene ampliato e radicalmente ristrutturato con la creazione di una corte porticata su tre lati e di ambienti residenziali a nord, con al centro il tablinium affiancato ai lati da ambienti disposti simmetricamente; a sud viene invece realizzata la parte rustica con ambienti di lavorazione e di immagazzinamento dei prodotti agricoli e le stalle.

 

Una nuova cisterna circolare viene a sostituire quella rettangolare più antica e forse in occasione di questi lavori viene costruita una fornace rettangolare all'angolo sud ovest del complesso.

 

Successive modifiche e rifacimenti testimoniano la sua durata fino a tarda epoca imperiale; la presenza di tombe a cappuccina nell'area del cortile e del portico nord confermerebbero tale ipotesi.

 

Dagli scavi condotti risulta evidente che nell'area del Torrino, durante la fase romana, il momento di maggior fioritura edilizia è quello rappresentato dal periodo augusteo, come testimoniano le prime fasi d'impianto relative a quattro ville rustiche.

 

La zona del Torrino, servita da importanti assi viari quali la Via Ostiense e la Via Laurentina, non lontana da un importantissimo centro di scambio come il porto di Ostia e da un sempre più esigente mercato come quello di Roma, soddisfaceva in pieno le condizioni prescritte da Catone (De Agric. I, 3), e dagli altri agronomi (Varrone De r.r. I, 16, 1-3; Columella I, 2), per l'insediamento di quelle fattorie modello che sono alla base del modo di produzione schiavistico, autosufficienti e nello stesso tempo produttrici di surplus destinato al grande mercato.

 

Numerose sono pure le fonti che da Cicerone a Plinio il Giovane e Simmaco descrivono questa parte del suburbio di Roma parlando di ville e possedimenti lungo la Via Ostiense e riportando nomi di proprietari famosi o sconosciuti, a cui si possono aggiungere quelli tramandatici dalla documentazione epigrafica su cippi e da tubazioni plumbee.

 

Difficile è il compito di trovare una puntuale corrispondenza fra questi personaggi e i resti archeologici evidenziati, tenendo presente che la forte domanda di terra nelle aree prossime alla città ne favoriva il continuo passaggio di proprietà ed il frazionamento, bastando spesso anche una superficie minima, ma opportunamente sfruttata, per ottenere lauti guadagni.

 

L'E.U.R. e la Tenuta della Ferratella

 

Il territorio su cui attualmente sorge il moderno quartiere dell’E.U.R. ha rappresentato, fin dai primi secoli della storia dell’Urbe e successivamente durante tutta l’epoca romana e medioevale, una posizione di notevole importanza, venendo quasi a costituire, a sud di Roma, un punto di congiunzione tra l’immediato suburbio e la campagna vera e propria.

 

Durante gli sbancamenti, operati negli anni dal 1937 al 1939, per la realizzazione dell’intero quartiere, non fu mai data una descrizione accurata dei rinvenimenti e non tutti i resti messi in luce furono adeguatamente salvaguardati, anzi la maggior parte delle strutture fu distrutta, per permettere il proseguimento dei lavori d’urbanizzazione dell'area.

 

La funzionalità del quartiere era ulteriormente accresciuta, oltre alla relativa vicinanza all’importantissimo centro di scambio come il porto di Ostia, anche dalla presenza di un vicino borgo, noto con il nome di vicus Alexandri, considerato uno dei principali scali commerciali lungo il percorso suburbano del Tevere.

 

Il complesso portuale, situato tra la collina su cui sorge il Forte Ostiense e quella più a sud detta di Ponte Fratto, pur avendo origini probabilmente risalenti ad epoca medio repubblicana, non viene mai menzionato dalle fonti prima della metà del IV secolo d.C., quando ce ne dà una breve notizia Ammiano Marcellino (Rerum gestarum libri, XVII, 4, 14).

 

Nell'area in cui si è voluto porre il vicus Alexandri provengono numerosi ritrovamenti: due documenti del 1321 ricordano il carico di marmi dal Portus Grapiliani, denominazione che assunse la località durante l'epoca medievale; nel '700, nelle diverse vigne della zona, furono rinvenute iscrizioni, sia funerarie sia votive, resti di colombari e ruderi di un imponente mausoleo. Alcuni rinvenimenti compiuti nell'800 misero in luce ambienti termali, un bacino lustrale, un sepolcro in blocchi di peperino, cippi per la delimitazione di tombe, iscrizioni funerarie e resti forse pertinenti alle strutture portuali.

 

Tra il 1891 e il 1897, sulla riva sinistra del fiume, emersero a circa 4 chilometri dalla porta di S. Paolo, muri di fondazione in scaglioni di tufo con paramento in cortina laterizia, pavimenti in mosaico a tessere bianche e nere e soglie di travertino; successivamente, sulla riva sinistra del fiume, nei prati fra la Basilica di S. Paolo e il bivio detto "del Ponticello", fu rinvenuto, a circa 700 metri a sud della Basilica, un muraglione di circa 22 metri di lunghezza realizzato in scaglioni di tufo legati con malta (forse poteva trattarsi di una sponda murata). Altre porzioni di banchine sono riemerse in anni recenti poco a valle dell'ansa sottostante la Basilica di S. Paolo, lungo la riva destra del fiume.

 

Con ogni probabilità le strutture di questo vicus dovevano rappresentare uno scalo intermedio nella navigazione di risalita del Tevere da Ostia a Roma, intorno alle quali si era sviluppato, a partire dalla metà del IV secolo a.C., un centro abitato: sul lato sinistro della Via Ostiense si dovevano trovare le abitazioni, mentre sul lato destro doveva essere la zona commerciale con uffici e magazzini.

L'area occupata dal moderno complesso urbanistico dell'E.U.R., collocata in una posizione sopraelevata e caratterizzata da una serie di pianori dagli estesi orizzonti, si prestava favorevolmente, durante il periodo romano, all’insediamento di piccole fattorie e ville residenziali garantite anche da una locale rete stradale particolarmente ricca e ben articolata.

 

Questa maglia viaria poteva contare, oltre alla Via Ostiense e alle due vie che portavano nell’agro Laurentino, entrambe con andamento nord sud, anche di un lungo asse viario che, staccandosi verosimilmente al sesto chilometro dell'antica Via Ostiense, tagliava diagonalmente il comprensorio, da nord ovest a sud est, e si univa, una volta incrociato il percorso della moderna Via Laurentina, nei pressi di Ponte Buttero, con l'antica Via Ardeatina mediante un diverticolo ricalcante l'attuale Via di Vigna Murata.

 

Oltre a quest'asse stradale, in questa zona dovevano probabilmente convergere altre due vie: una, il cui tracciato è solo ipotetico, ricalcava la moderna Via Laurentina, l’altra, probabilmente un diverticolo di cui era già noto da tempo un breve tratto, proveniva dall’Abbazia delle Tre Fontane e tagliava diagonalmente questo complesso con andamento nord est sud ovest.

 

Il percorso della tangenziale, che tagliava in due il comprensorio dell'E.U.R., portato in luce in vari segmenti durante gli sbancamenti per la realizzazione del nuovo quartiere e della Via Cristoforo Colombo, si dirigeva nel primo tratto, con un andamento grosso modo regolare nord nord ovest, a destra di un’altura ora occupata dal Piazzale delle Nazioni Unite, per poi deviare decisamente, all’altezza di Piazzale Guglielmo Marconi, verso sud est; in particolare in quest’area fu messo in luce un tratto di strada basolata, compreso fra l’attuale Piazzale Konrad Adenauer e Via Ciro il Grande, in cui la via, evitando tutta una serie d’alture, correva lungo un avvallamento delimitato a sud da una collina ed a nord da banchi tufacei, probabilmente già sfruttati in epoca antica come cava di materiali da costruzione.

 

Nel 1938, nell'area occupata attualmente dal Piazzale delle Nazioni Unite, durante la realizzazione delle fondazioni per la costruzione del palazzo dell’I.N.A., furono rinvenuti alcuni resti delle strutture murarie di un tempio arcaico, databili al V secolo a.C., e frammenti appartenuti alla decorazione fittile dell'edificio cultuale (un'antefissa policroma con raffigurazione di una cavallo e decorazione con motivi a riquadri nella parte inferiore, un frammento di lastra raffigurante la parte superiore di una gamba maschile, un frammento policromo di un elemento per la copertura del tetto e un frammento di piede relativo ad un ex voto).

 

Il tracciato stradale, prima di raggiungere la Via Cristoforo Colombo, nelle vicinanze della quale fu rinvenuto un brevissimo tratto di strada basolata, aveva una diramazione ad est lungo l’asse dell’attuale Piazzale dell’Agricoltura; nell’angolo formato dalla biforcazione furono rinvenuti i resti di una tomba. Questa diramazione stradale doveva probabilmente raggiungere una piccola altura, all’altezza di Piazzale dell’Industria, dove emersero un gruppo di tombe, e raccordarsi, nei pressi del Santuario della Madonna delle Tre Fontane, con il tracciato ricalcante la moderna Via Laurentina.

 

Recentemente in quest’area, durante alcuni lavori di sterro, sono stati recuperati, all'interno di una fossa scavata nel banco di tufo, alcuni ex voto fittili databili tra il IV e gli inizi del III secolo a.C. (una mezza testa femminile e un piede sinistro); il tipo di materiale rinvenuto può essere messo in relazione con un luogo sacro probabilmente legato al culto delle acque od una vicina fonte, identificabile verosimilmente all’interno del complesso dell'Abbazia delle Tre Fontane.

 

La presenza di questi votivi fittili e il precedente rinvenimento in zona, durante gli sbancamenti del 1938, di elementi architettonici d’età arcaica (due antefisse a testa femminile, due frammenti di lastre fittili con decorazione geometrica e figurata, un frammento di antefissa policroma con palmette e un frammento policromo di un piede calzato, forse relativo ad un ex voto), probabilmente riferibili alla decorazione di un altro edificio cultuale, può far ipotizzare l’esistenza, sull’altura ora occupata dal moderno complesso delle Madonna delle Tre Fontane, di un secondo santuario con una sua prima fase databile tra la fine del VI ed gli inizi del V secolo a.C. ed una successiva frequentazione dell’area almeno fino alla metà del III secolo a.C.

 

Ulteriori resti dell’asse viario affiorarono, ancora per diversi tratti e a varie distanze, nella zona compresa tra gli edifici che ospitano il Museo Nazionale Preistorico ed Etnografico “Luigi Pigorini” e quello della Marina Mercantile; in questo settore di scavo furono messi in luce, ai lati del tracciato viario, resti di un sarcofago liscio in terracotta collocato alla stessa quota del piano stradale, un muro in blocchi di tufo giallo che rivestiva un nucleo cementizio in scaglie di pietra, un gruppo di tombe a camera, colombari, numerose tombe a fossa con copertura a cappuccina, tracce di muratura a blocchi di tufo e avanzi di murature forse attribuibili ad altri sepolcri.

 

A Nord di quest’area, in particolare su di un’ampia collina attualmente compresa tra Viale della Civiltà Romana e Viale della Letteratura, furono messi in luce, durante alcuni lavori che portarono successivamente al completo livellamento dell’altura, i resti di un vasto complesso rustico identificabile in una villa romana databile alla tarda età repubblicana (fine II secolo a.C. inizi I secolo d.C.).

 

Del complesso furono messi in luce numerosi ambienti, quasi tutti con orientamento est ovest, con paramenti di muratura in opera reticolata di tufo; vennero anche rinvenuti, all’interno di alcune stanze, pavimenti in mosaico con decorazioni floreali, in opus spicatum e in cocciopesto.

 

All’interno dell'insediamento furono evidenziati anche i resti di un sistema di raccolta per le acque, costituito da alcune cisterne e cunicoli scavati nel banco di tufo con rivestimento d’intonaco idraulico; presso l’estremità meridionale della villa fu identificato un pozzo di forma circolare.

 

Si potrebbe ipotizzare che l'area facesse parte di un tenuta appartenente alla gens Antonia, Cornelia o Cassia: sappiamo, infatti, che tra i fondi che componevano nel VII secolo d.C. la massa quae Aqua Salvias nuncupatur, vale a dire la Tenuta delle Tre Fontane, erano compresi quelli denominati Antoniana, Cassianum e Cornelianum.

 

L’asse stradale, di cui non furono evidenziati ulteriori resti, proseguiva verso sud est andando a raggiungere la moderna Via di Vigna Murata.

 

Su un’altura delimitante a nord questa strada, a circa 500 metri a sinistra dall’incrocio con la moderna Via Laurentina, furono rinvenuti i resti di una cisterna romana realizzata in calcestruzzo di selce nota con il nome di “ruderi delle Grotte d’Arcaccio”. Sulle strutture d’epoca romana, di cui attualmente non rimangono che alcuni tratti della parete sud, fu fondata, tra il X secolo e l'XI secolo d.C., una torretta d’avvistamento realizzata in blocchetti regolari di tufo; la torre occupava un’ottima posizione in quanto, oltre a vigilare sulla Via Laurentina, poteva controllare una strada d'origine romana, l’odierna Via di Vigna Murata, che univa la Via Ostiense all’Appia.

 

Nel 1971, a circa 250 metri prima dell’incrocio di Via del Serafico con Via del Tintoretto, durante alcuni lavori per la realizzazione di un edificio, furono rinvenuti i resti di un sepolcro ipogeo; la tomba, costruita con un paramento in opera mista di laterizi e tufelli, accoglieva, all’interno di due celle, sepolture ad inumazione ed incinerazione.

 

Anche l’attuale tracciato di Via Laurentina, da Ponte Buttero fino all’altezza della città militare della Cecchignola, doveva ricalcare i resti di un’antica strada.

 

Nel 1942 all’incrocio di Via Laurentina con Via del Fenilone, durante la realizzazione della centrale elettrica, fu scoperto un cunicolo scavato nel banco di tufo, le cui pareti erano rivestite con un sottile strato d’intonaco idraulico in cocciopesto; a meno di 300 metri ad est da quest’area, lungo Via dei Radiotelegrafisti, nel 1959 furono rinvenuti tre tombe con sarcofagi di marmo bianco.

 

A breve distanza da quest'area, nella zona di Ponte Buttero, vennero in luce nel 1926 altri due sarcofagi in marmo, databili al III secolo d.C. (uno presentava la raffigurazione di una scena di orante, l'altro con strigilatura, aveva nella parte centrale circolare la raffigurazione delle tre grazie ed agli angoli eroi sorreggenti delle fiaccole); altri elementi architettonici, forse decorazione di antichi sepolcri, andati completamente distrutti durante la costruzione degli edifici, sono conservati all'interno di un giardino condominiale in Via dei Corazzieri, di fronte a Via dei Guastatori.

 

I resti di un lungo tratto di strada basolata furono rinvenuti nel 1953, al chilometro 6,500 della Via Laurentina, nei pressi dell’incrocio con Via Oscar Sinigaglia, durante i lavori d’ampliamento del villaggio Giuliano-Dalmata. Dell’asse basolato fu messo in luce un tratto che conservava ancora sul lato est i margini a blocchi di basalto disposti verticalmente.

 

Recentemente, tra marzo e giugno del 1995, a meno di 150 metri a sud da quest'area, durante gli sbancamenti operati per il raddoppio dell'attuale tracciato di Via Laurentina, sono stati messi in luce i resti di un probabile complesso abitativo d’epoca romana, tracce di un pozzo-cisterna scavato nel banco di tufo e i resti di una necropoli d’età imperiale.

 

Nel 1969, a circa 600 metri ad ovest da questi ritrovamenti, furono rinvenuti, durante la realizzazione del Piano di Zona 37 Ferratella, i resti riferibili ad una villa rustica databile tra la fine del II secolo a.C. e gli inizi del I secolo d.C.; del complesso, già in parte sezionato dallo sfruttamento dell'area ad uso di cava per la pozzolana, vennero messe in luce alcune murature di terrazzamento, realizzate in opera reticolata di tufo ed in calcestruzzo di selce e i resti di una cisterna in calcestruzzo con copertura a volta.

 

Lo scavo dell'impianto rustico della villa mise in evidenza un sistema costituito da canalette e fosse scavate nel banco di tufo, utilizzate probabilmente per la raccolta e conservazione delle acque meteoriche; fu inoltre individuato un complesso idrico sotterraneo costituito da pozzi e cunicoli scavati nel tufo e rivestiti d'intonaco idraulico in cocciopesto.

 

Dopo un periodo di abbandono, probabilmente avvenuto sul finire del II secolo d.C., il complesso rustico venne riutilizzato come area di necropoli; all'interno di alcuni ambienti furono messe in luce una serie di tombe a fossa con copertura di tegole disposte alla cappuccina o all'interno di anfore di tipo africano (III secolo d.C.).

 

Come si può vedere, questi sporadici rinvenimenti concorrono alla ricomposizione dell'antico tessuto topografico di una vasta area che, proprio per la mancanza di ruderi affioranti sul terreno, non era stata finora inquadrata nel suo giusto contesto.

 

La probabile esistenza di luoghi di culto, a partire dal periodo arcaico, e la presenza di resti della fine della repubblica e di varie testimonianze relative ad epoca imperiale, testimoniano una continuità di vita e un crescendo di insediamenti in tutta la zona.

 

LAURENTINA - ACQUA ACETOSA

L'abitato e la necropoli - Parte III

di Leonardo Schifi

*su gentile concessione dell’autore

Tenuta di Mostacciano

 

Mostacciano non doveva essere il nome di una tenuta, ma piuttosto il termine con cui si indicava una località compresa tra le tenute di Acqua Acetosa ad est, Casal Brunori a sud, di Spinaceto e del Torrino ad ovest.

 

Probabilmente il nome della zona fa riferimento alla produzione di mosto che, già verso la fine del XII secolo d.C., si sarebbe ricavato dalla vigne di proprietà ecclesiastica.

 

Le strutture di una torre, databili al XIII secolo d.C., si trovano interrate su una collinetta a circa 300 metri a nord ovest del moderno Casale di Mostacciano, nei pressi dell'incrocio tra la Via Cristoforo Colombo e il Grande Raccordo Anulare.

 

Questa vedetta, insieme alle torri dell'Arnaro e Brunori, assicurava un controllo sul territorio delimitato dalle antiche Vie Ostiense e Laurentina e dai fossi di Spinaceto e Vallerano.

 

I resti di un antico tracciato stradale, ricalcante grossomodo l'attuale Via di Decima, sono stati individuati, in diversi tratti, lungo il confine nord orientale del comprensorio di Mostacciano.

 

Questa strada, probabilmente già in uso a partire dalla media età repubblicana (IV-III secolo a.C.), si staccava dal chilometro 9,700 dell'antica Via Ostiense e, dopo aver costeggiato il quartiere di Decima, correva per un lungo tratto parallela al fosso di Vallerano, per poi deviare, superata la Via Cristoforo Colombo, verso sud, fino ad incrociare, su una collina posta a 500 metri a nord della Via Pontina e del Grande Raccordo Anulare, l'asse stradale dell'antica Via Laurentina (attuale Via Pontina).

 

Recentemente, nei pressi di questo incrocio, sono stati individuati i resti dell'antico tracciato di questa strada realizzati con una massicciata in scaglie di basalto all'interno di un taglio operato nel sottostante banco tufaceo; nelle immediate vicinanze, infine, sono state messe in luce alcune sepolture a fossa con copertura di tegole e una probabile tomba a camera.

 

Il percorso viario dell'antica Via Laurentina, prima di giungere in questa zona, aveva inizio staccandosi al chilometro 6,500 della Via Ostiense e, dopo aver tagliato in senso nord sud il comprensorio occidentale dell'Eur, si raccordava, lasciandosi sulla sinistra il Castellaccio di Casa Ferrata (IX-X secolo d.C.), con l'attuale tracciato della Via Pontina.

 

A meno di un chilometro a sud da quest'area, all'incrocio tra la Via Pontina e Via di Valleranello, durante la costruzione di un edificio della Telecom Italia è stato messo in luce un diverticolo stradale e i resti di una necropoli databile alla prima età imperiale, con tombe a fossa e copertura di tegole alla cappuccina; probabilmente questo percorso, con andamento verso nord est, si dirigeva verso le alture di Casal dell'Ara, nella tenuta dell'Acqua Acetosa.

 

Nel comprensorio di Mostacciano, lungo Via Domenico Jachino, sono visibili, in sezione, le murature in opera reticolata di tufo di una cisterna appartenente ad una vicina villa rustica, databile alla tarda età repubblicana (fine II-I secolo a.C.); nelle immediate vicinanze si conservano, all'interno di un giardino condominiale, i resti di una strada basolata.

 

Altre strutture, attualmente non più visibili, localizzate in Contrada Monti della Creta, si riferiscono probabilmente ad un insediamento rustico di epoca romana.

 

Tenuta di Casal Brunori

 

La tenuta di Casal Brunori, subito fuori il Grande Raccordo Anulare, si estende a sud del quartiere di Mostacciano ed è stretta fra la Via Pontina ad est e la Via Cristoforo Colombo a ovest, mentre a sud confina con il quartiere di Spinaceto.

 

I resti di una torre medioevale d'avvistamento, noti con il nome di Torre Brunori, si trovano nel quartiere di Spinaceto, sulla sinistra di Via Caduti per la Resistenza, presso il palazzo dell'Enasarco.

 

L'antica vedetta, costruita sui resti di una cisterna romana, prende il nome da Brunoro di Gambara, proprietario di alcune terre in questa zona a partire dalla seconda metà del '500; la torre, per la sua particolare posizione, costituiva uno dei posti di guardia lungo l'antica Via Laurentina e controllava anche la via trasversale che univa la costa ai Colli Albani.

 

Le recenti indagini archeologiche, svolte nel comprensorio di Casal Brunori, sono state condotte su di una superficie di circa 10 ettari, costituita da una propaggine collinare del complesso sedimentario vulcanico della Campagna Romana.

 

Lo scavo sistematico della zona ha evidenziato i resti di otto strutture riferibili al periodo arcaico (VI-V secolo a.C.), costituite da piccoli edifici con pianta leggermente rettangolare ad unico ambiente; la presenza di alcune tombe infantili conferma l'uso ad abitazione di tali strutture, organizzate come un piccolo villaggio anche per la presenza di due pozzi, forse di uso comune. E' certo che l'area di queste strutture sia stata rioccupata successivamente, durante l'epoca medio repubblicana (IV-III secolo a.C.), da un vasto complesso di cui si conservano, oltre a varie fosse con materiale di scarico, anche un basamento per il torchio con attigua vaschetta e numerosi pozzi e cunicoli sotterranei collegati fra loro.

 

A meno di 400 metri a nord est di questo insediamento rustico è stato individuato, al confine con il comprensorio di Mostacciano, una tomba ipogea a colombario risalente alla prima età imperiale (inizi del I secolo d.C.); il sepolcro, non ancora scavato, presenta una scala di accesso ad un vano sotterraneo, con paramento interno in muratura di opera reticolata in tufo.

 

Un tracciato stradale di epoca romana, con pavimentazione realizzata a scaglie di basalto, attraversava l'area del comprensorio da nord ovest a sud est e collegava la Via Ostiense alla Via Laurentina (odierna Via Pontina).

 

Verso il limite nord della zona sono state individuate alcune aree di cava probabilmente in uso fino ad epoca imperiale, con lo sfruttamento tramite scavo in grotta e cunicoli.

 

Nel settore nord nord ovest del comprensorio, infine, in prossimità di una strada di epoca arcaica tagliata nel banco di tufo, sono state rinvenute cinque tombe a camera databili al IV-III secolo a.C.; probabilmente quest'asse stradale, oltre a collegare l'area delle strutture arcaiche, proseguiva a est verso la tenuta di Vallerano, dove il recente scavo di un analogo tracciato viario, presentante una biforcazione, ha rilevato la presenza puntuale di tombe a camera dello stesso tipo e periodo.

 

Tenuta di Mezzocammino

 

La tenuta di Mezzocammino, subito fuori il Grande Raccordo Anulare, è compresa tra l'antica Via Ostiense, la Via Cristoforo Colombo, mentre a sud confina con il fosso di Spinaceto.

 

Il nome della zona deriva dal fatto che questa località si trovava a metà strada tra Roma e la foce del Tevere.

 

La tradizione vuole che in questo luogo fu martirizzato, sotto l'Imperatore Massimiano (286-310 d.C.), insieme con altri compagni (Largo, Crescenziano, Smaragdo, Memmia e Giuliana), San Ciriaco primo vescovo di Ostia.

 

Successivamente in questa zona fu fondata, ad opera di Papa Onorio I° (626-630 d.C.), una chiesa, con annesso cimitero, dove furono tumulati i resti del Santo e dei compagni.

 

Tra la seconda metà dell'VIII secolo e la metà del X secolo d.C. sono ricordate tre traslazioni di reliquie relative a tutti e sei i martiri.

 

Le tracce di questo sepolcreto cristiano, cercate invano per diverso tempo, vennero messe in luce, a partire dal 1913, durante i lavori di allargamento e rettifica del tracciato stradale della Via Ostiense.

 

A questi rinvenimenti occasionali fece seguito, tra la fine del 1915 e i primi mesi del 1916, una campagna di scavi archeologici svolta durante la costruzione della linea ferroviaria Roma-Ostia; in quell'occasione gran parte delle testimonianze rinvenute furono completamente distrutte per la realizzazione della strada ferrata.

Gli scavi portarono in luce, di fronte al Casale di Mezzocamino, alcune strutture murarie absidate relative a mausolei pagani risalenti alla seconda metà del IV secolo d.C., tracce di una vasta necropoli in uso fra il IV e primi decenni del VI secolo d.C. e i resti della basilica costruita da Papa Onorio I° sulle murature di una cisterna romana, a circa cento metri ad est del moderno Casale.

 

Tra i due nuclei di strutture fu individuato, per circa 36 metri di lunghezza, un diverticolo stradale basolato con andamento est ovest; questo tracciato viario probabilmente si staccava a sinistra del VII° miglio dell'antica Via Ostiense.

 

Particolarmente interessante fu il rinvenimento, in un piccolo settore di scavo, in parte disturbato da successive costruzioni romane, di uno strato di materiali fittili (frammenti d'impasto, bucchero e ceramica attica a vernice nera) databili ad epoca arcaica (VI-V secolo a.C.); è presumibile che, come nella tenuta del Torrino, tale insediamento arcaico di VI secolo a.C. risalisse ad epoca ben più antica.

 

Probabilmente il cimitero di San Ciriaco si sviluppò a partire dalla metà del IV secolo d.C., anche se non si può escludere l'esistenza di sepolture più antiche, forse risalenti ad epoca precostantiniana.

 

Nel XIII secolo d.C. il toponimo di San Ciriaco risulta erroneamente legato ad una torretta d'avvistamento posta a 250 metri a sinistra del chilometro 13,300 della Via Ostiense, nella Tenuta del Risaro.

 

Per la sua particolare posizione, su un'alta collina, questa vedetta era in contatto visivo con altre due torri, ora purtroppo distrutte: la prima, detta Torricella, situata su un'altura di fronte al Casale di Spinaceto, a sinistra dell'omonimo fosso; la seconda, chiamata Trefusa, era costruita su resti di una cisterna romana a circa 500 metri a est di Casale Ruffo, in località Riserva Quartaccio.

 

Il recente progetto di urbanizzazione nel comprensorio di Mezzocammino è stato preceduto da un'accurata campagna di indagini archeologiche preventive, tuttora in corso, estese su una superficie di circa 150 ettari.

 

La zona è costituita da una vasto pianoro del complesso sedimentario vulcanico della Campagna Romana ed è protesa, verso la riva sinistra del Tevere, con una serie di propaggini collinari di terreno argilloso calcareo separate da profondi canali di compluvio naturale.

 

Un antico tracciato stradale, con pavimentazione realizzata a blocchi di basalto, forse già in uso a partire dalla media età repubblicana, si staccava a sinistra del tredicesimo chilometro dell'antica Via Ostiense e, dopo aver attraversato il pianoro della tenuta, grossomodo in senso est ovest, si dirigeva verso l'area di Casal Brunori per raccordarsi con l'antica Via Laurentina (odierna Via Pontina).

 

Quest'asse stradale di lunga percorrenza, probabilmente un raccordo tra le antiche Vie Ostiense e Appia, proseguiva, dopo aver attraversato le tenute di Vallerano e della Selcetta, verso la biforcazione, detta di "Pizzo Prete", tra Via di Trigoria e la moderna Via Laurentina (in quest'area alcune recenti indagini, durante i lavori di raddoppio dell'attuale asse stradale, hanno messo in luce una serie di mausolei funerari, tombe a camera e nuclei di sepolture a fossa con copertura di tegole alla cappuccina); successivamente questa strada tagliava, dopo aver ricalcato per circa due chilometri la moderna Via Laurentina, la tenuta di Porta Medaglia in direzione dell'attuale Via Ardeatina: da qui il tracciato antico è, in parte, ricalcato da Via della Falcognana, fino al sito dell'antica Bovillae sull'Appia.

 

All'interno della tenuta di Mezzocammino, lungo questo percorso viario, le recenti indagini archeologiche hanno rilevato un'occupazione stabile del territorio a partire dalla tarda età arcaica (VI-V secolo a.C.) fino ad epoca tardo repubblicana (II-I secolo a.C.).

 

La presenza di macine in pietra lavica, pozzi idrici, resti di fosse e canalizzazioni confermano anche per questa zona l'uso di tali strutture per scopi abitativi.

Sul limite ovest e nord del comprensorio sono state individuate alcune aree di cava prolungatesi fino ad epoca romano imperiale.

 

Tenuta di Vallerano

 

La tenuta di Vallerano è situata fra le attuali Vie Laurentina e Pontina, subito all'esterno del Grande Raccordo Anulare.

 

L'area potrebbe coincidere con quella di un'antica tenuta di epoca romana ed il nome richiama quello dei primi proprietari appartenenti alla famiglia dei Valerii, da cui il nome "valerianum".

 

La recente urbanizzazione del sito è stata preceduta da un'approfondita ricerca archeologica, che ha evidenziato la presenza di una organizzazione del territorio a partire dal periodo arcaico fino ad epoca imperiale. Tracce di una occupazione del territorio in età preistorica, riferibili ad uno stanziamento abitativo di epoca Neolitica (fine del IV millennio a.C.), sono state scavate su un pianoro a circa 300 metri a sud est del Casale di Valleranello.

 

Le indagini sistematiche hanno messo in luce i resti, su almeno dieci aree distanti in media 150 metri una dall'altra, di un articolato sistema di canalizzazioni per uso agricolo, databili probabilmente al periodo medio repubblicano (dal IV-III secolo a.C. fino al II-I secolo a.C.). Tali strutture, individuate sotto lo strato superficiale di humus, interessano l'area di un pianoro solcato in antico da un canale naturale confluente a nord verso il fosso di Vallerano.

 

Oltre a questo complesso sistema di drenaggi agricoli, il comprensorio è caratterizzato da un esteso e articolato reticolo viario, forse risalente già al periodo arcaico.

 

Due di questi percorsi (strada 1 e 2), individuati ciascuno per una lunghezza complessiva di 500 metri, sono collegati e dividono il pianoro in tre settori; è ipotizzabile che la strada 2, dopo la biforcazione in un secondo tracciato (strada 1), proseguiva verso nord ovest in direzione della tenuta di Casal Brunori.

 

All'incrocio di questi due assi stradali sono state rinvenute, scavate sulla parete di un fossato di erosione delle acque, quattro tombe a camera che hanno restituito corredi databili al IV-III secolo a.C.; una quinta tomba a camera, coeva alle precedenti, è stata trovata lungo la strada 2 a circa 350 metri a sud est di questo incrocio.

 

Alcune recenti indagini, tuttora in corso, lungo quest'ultimo tracciato stradale, hanno permesso di mettere in luce i resti di un'altra biforcazione con un nuovo percorso viario proveniente da est; all'incrocio dei due assi stradali è puntuale, anche in questo nuovo settore di scavo, la presenza di una tomba a camera. A nord ovest di quest'area sono stati rinvenuti, infine, alcuni pozzi, fosse e resti di una cisterna scavata nel banco di tufo.

 

E' probabile che la strada 1, una volta attraversato il fosso di compluvio naturale del pianoro, avesse una diramazione a nord ovest verso un tracciato stradale d'accesso, individuato sul lato ovest di un insediamento databile tra la tarda età repubblicana e quella imperiale (fine II secolo a.C. - inizio I secolo d.C.).

 

Lo scavo di questo complesso ha messo in luce una vasta area rettangolare in cui sono state individuate vasche di lavorazione rivestite in cocciopesto, canalette di scolo, fosse, cisterne, pozzi e cunicoli sotterranei collegati fra loro; quest'area, infine, era racchiusa su tre lati da un canale a cielo aperto scavato nel banco di tufo, collegato ad una pozzo con cunicolo di scarico. Sul quarto lato sud è stata messa in luce una struttura di forma rettangolare allungata, forse identificabile come sterquilinium (letamaio), che presenta una rampa di entrata a scivolo lastricata con blocchi di basalto; accanto a queste strutture, oltre a tracce di alcune sepolture, si ha un ambiente semipogeo con resti di dolia.

 

A circa 500 metri ad ovest di questo insediamento, è stata parzialmente indagata l'area di una villa di epoca imperiale con impianto di forma rettangolare allungata; del complesso si conservano le strutture di una cisterna su due piani, resti di un probabile dolietum e poco distante, all'interno di una piccola cava di tufo ad uso locale, un'area sepolcrale con tombe a cappuccina.

 

Un terzo tracciato (strada 3), grosso modo parallelo a Via di Vallerano, è stato rinvenuto, con andamento non rettilineo, ma leggermente sinuoso, nella parte sud del pianoro; molto probabilmente le prosecuzioni di questa strada, a sud est e a nord est, si raccordano con analoghi tracciati individuati rispettivamente nelle tenute della Perna e di Tor Pagnotta.

 

Questa strada di lunga percorrenza, probabilmente collegata con la strada 2, rimase in uso fino ad epoca imperiale avanzata come dimostrano i resti di una rampa di accesso ad una villa databile alla tarda età repubblicana (II-I secolo a.C.).

 

Lo scavo lungo il pendio ovest dell'altura, su cui sorge l'insediamento, ha messo in luce alcune strutture a blocchi di tufo e un vasto sepolcreto con oltre cento tombe databili nell'arco del II-III secolo d.C.; probabilmente al servizio di quest'area doveva essere destinata una fornace rinvenuta lungo la scarpata nord ovest della strada 3.

 

Accanto alle semplici sepolture a fossa, con la copertura di tegole alla cappuccina o all'interno di anfore, ne sono state trovate alcune di un tipo più elaborato e di maggiori dimensioni, che presupponevano una sistemazione esterna con monumento a vista, forse un piccolo basamento sostenente un'ara con iscrizione, di cui purtroppo non è rimasto alcun elemento. Fra queste la Tomba n.° 2 comprendeva una sepoltura femminile di una giovane donna all'interno di un sarcofago in marmo con ricco corredo databile all'epoca degli imperatori Antonini.

A circa 250 metri nord ovest di quest'area, lungo un tracciato stradale con pavimentazione realizzata a scaglie di basalto, è stata messa in luce una piccola necropoli posta lungo questo percorso viario proveniente dalla biforcazione con le strade 1 e 2.

 

Sul limite settentrionale del comprensorio, infine, lungo Via di Valleranello, sorgono i resti di una torretta medioevale di vedetta.

 

La struttura, di forma quadrata, è costruita in blocchetti di tufo misti a scaglie di selce e mattoni; la torre, più volte restaurata e notevolmente trasformata all'interno, conserva un finestra rettangolare ed una feritoia su ogni lato. La sua particolare posizione intermedia assicurava le segnalazioni tra l'antica e la moderna Via Laurentina.

 

Tenuta di Tor Pagnotta

 

I recenti lavori di urbanizzazione di una parte del settore meridionale della tenuta, situata tra il Grande Raccordo Anulare a nord, Via Castel di Leva a sud e la Via Laurentina e Via della Cecchignola rispettivamente a ovest e ad est, hanno permesso di eseguire un'accurata campagna d'indagine archeologica preventiva su una vasta superficie di circa 40 ettari d'estensione, protesa verso il lato nord, con una dorsale tufacea separata su ambo i lati da zone di compluvio naturale.

 

Il nome della tenuta è una deformazione moderna dei nomi medievali Piliocti e Piliocta che compaiono in documenti del XIII secolo d.C.; anche questa proprietà, come la vicina tenuta della Cecchignola, è appartenuta, fino ai primi del '900, ai principi Torlonia.

 

Della torre medioevale, situata su un'alta collina a circa 1200 metri a sinistra del chilometro 8,500 della moderna Via Laurentina, notevolmente rovinata, si conservano i resti della base, di forma quadrata, realizzata in scaglie di selce e l'alzato costruito in frammenti di tufo, selci e scaglie marmoree. Sul lato sud si accedeva, tramite una scaletta esterna in mattoni, all'ingresso della vedetta.

 

La torre, posta a metà strada tra le Vie Laurentina e Ardeatina, era al centro di un luogo strategico, venendosi a trovare circondata da una serie di vedette di guardia dislocate nelle vicinanze.

 

Le ricerche nel comprensorio di Tor Pagnotta hanno evidenziato, al centro del pianoro, le tracce di un articolato sistema di canalizzazioni scavate nel banco di tufo con probabile destinazione per uso agricolo, forse per l'impianto di un frutteto di meli o per un vigneto.

 

Queste strutture, insieme a resti di fosse e pozzi idrici, sono databili probabilmente al periodo medio repubblicano (IV-III secolo a.C.); altri resti, riferibili a stanziamenti di tipo rustico, sono stati individuati a circa 1200 metri ad est della torre di Tor Pagnotta (presso il 10° Casale di Bonifica) e a circa 400 metri ad est dal 7° Casale di Bonifica.

 

Alla stessa epoca deve risalire un nucleo di sei tombe a "pseudo-camera", situato su un pianoro di fronte al complesso medioevale di Tor Chiesaccia (XII-XIII secolo d.C.).

 

Le sepolture, scavate nel banco di tufo, si distribuivano in modo casuale nell'ambito dell'area indagata; la loro caratteristica riguardava la presenza di un'anticamera che precedeva la stanza di deposizione dell'inumato, disposto su una banchina realizzata in fondo alla cella o sui lati lunghi.

 

Le caratteristiche formali e tecniche di queste tombe, che richiamano tipi diffusi sul territorio durante il periodo dell'orientalizzante recente, non escludono un'origine più antica per la frequentazione di tali sepolcri.

 

E' interessante notare che questi gruppi di tombe a camera, sparsi nel territorio, presentano una distanza, in linea d'aria, misurabile in media intorno ai due chilometri, come se le aree fossero ripartite in precise sfere d'influenza.

 

All'estremità occidentale della tenuta, lungo la moderna Via Laurentina, nei pressi di ponte della Chiesaccia, sono stati rinvenuti i resti di un tracciato stradale che, già individuato nell'area di Vallerano (strada 3), risaliva, dopo aver attraversato il fosso omonimo, lungo un compluvio naturale, verso il pianoro del comprensorio di Tor Pagnotta; probabilmente questa strada, dopo aver attraversato la tenuta, si dirigeva, con andamento grossomodo nord nord ovest, verso l'abitato protostorico della Laurentina Acqua Acetosa.

 

Recentemente, a sud di questa zona, durante i lavori di raddoppio dell'attuale Via Laurentina, all'incrocio con Via di Castel di Leva, è stato rinvenuto un altro tratto di strada, probabilmente risalente già ad epoca arcaica, che si raccordava, verso nord ovest, con il tracciato stradale sopra menzionato; sul lato opposto, questo diverticolo, doveva proseguire, con andamento grossomodo sud est, verso la moderna lottizzazione di Casal Fattoria nella tenuta di Valleranello.

 

Durante indagini tuttora in corso, sul limite sud ovest del comprensorio, sono state individuate alcune aree di cava prolungatesi fino ad epoca tardo imperiale.

 

Tenuta della Cecchignola

 

La tenuta della Cecchignola, stretta fra i moderni tracciati delle Vie Ardeatina e Laurentina, si estende a sud dell'omonimo fosso, di fronte all'odierno quartiere di Fonte Meravigliosa.

 

Il comprensorio confina ad est con la tenuta di San Cesareo, ad ovest con il quartiere di Colle di Mezzo e la Città Militare, mentre a sud con Via di Tor Pagnotta.

 

Il nome più antico con cui veniva identificata questa tenuta era "Cicomola" che, insieme al termine "Piliocti" (odierna Tor Pagnotta), compare in una bolla di papa Onorio III° (1216-1227 d.C.) con riferimento al monastero di San Alessio.

 

Anche questa proprietà, come la vicina tenuta di Tor Pagnotta, fu un possedimento, fino ai primi del '900, dei principi Torlonia.

 

A 500 metri a destra del primo chilometro di Via della Cecchignola, dopo l'incrocio con la moderna Via Ardeatina, si conservano i resti, parzialmente ricostruiti, di un'altissima torre e di un Casale circondati da un recinto merlato.

 

La torre, conservata per circa due terzi dell'altezza originaria, è costruita con la caratteristica tecnica del XIII secolo d.C.: presenta un paramento murario di tufelli regolari ed munita di finestre rettangolari con stipiti marmorei.

 

La parte superiore della vedetta, con merlatura, è stata completamente ricostruita, mentre la base è stata rinforzata da un alto sperone, probabilmente contemporaneo ai primi rifacimenti del complesso.

 

La torre e il Casale costituivano un importante fortilizio che dominava tutta la tenuta della Cecchignola.

 

Il complesso fortificato era difeso da alcune torrette di vedetta poste sulle alture circostanti, purtroppo oggi in gran parte abbattute; i resti attualmente visibili di una di queste, a circa 250 metri a nord ovest della torre, si riferiscono ad una costruzione completamente romana riutilizzata certamente durante il medioevo.

 

Le ricognizioni superficiali svolte nell'area del comprensorio, in occasione della creazione di nuovi quartieri residenziali, hanno permesso di individuare, lungo il fosso della Cecchignola, resti di stanziamenti abitativi, strutture di servizio e tracce di un'interessante sistema di drenaggio dell'acqua scavato nel banco di tufo; altri resti, forse relativi ad impianti di tipo rustico, probabilmente risalenti tra il tardo periodo arcaico e la media età repubblicana (V secolo a.C. - metà del III secolo a.C.), sono stati scoperti presso Via della Cecchignoletta, Casale di Cecchignola Vecchia e Casale Zola.

 

Nella metà degli anni '80, durante alcuni sondaggi preventivi per l'allargamento di Via della Cecchignola, sono stati messi in luce, nella zona compresa tra Vicolo della Cecchignoletta e Via tenuta della Cecchignola, le tracce dall'antico percorso della Via Ardeatina. Questa strada, dopo aver incrociato Via di Vigna Murata, ricalcava, per circa un chilometro, l'attuale tracciato di Via della Cecchignola per poi deviare verso sud; la via, dopo aver attraversato l'area dei Casali Romagnoli, proseguiva lungo il Vicolo del Bel Poggio fino oltre il Grande Raccordo Anulare.

 

Nel tratto indagato lungo l'antico tracciato stradale sono stati evidenziati, anche in tempi recentissimi, nuclei di tombe a fossa con copertura di tegole alla cappuccina e tracce di mausolei funerari di epoca imperiale.

 

Resti di un interessante sepolcro romano realizzato in opera laterizia, probabilmente risalente al II secolo d.C., si trovavo a circa 150 metri a destra dell'incrocio tra Via di Tor Pagnotta e Vicolo del Bel Poggio; la struttura, riutilizzata nel corso del XIII e XIV secolo d.C. come torre d'avvistamento (Tor Chiesaccio), fiancheggia un sentiero che ricalca il tracciato dell'antica Via Ardeatina.

 

La vedetta, fabbricata con scaglie di selce, tufelli e frammenti di marmo, presenta due costruzione addossate: la principale, la torre vera e propria, di cui si conservano due piani e tracce di finestre quadrate, e un altro ambiente, alquanto più basso, unito alla struttura da un grande arco, probabilmente costruito durante la trasformazione del complesso in Casale-torre.

 

Lungo Via di Tor Pagnotta, a circa 150 metri a sud ovest del Casale delle Genzole, si trova un'altra torretta di guardia; la struttura, costruita sui resti di una cisterna romana in laterizio, è composta da tufelli frammisti a marmo e mattoni.

 

La stretta vicinanza di questo complesso con Tor Chiesaccio permetteva un controllo del primo tratto della viabilità per Ardea.

 

A circa 60 metri prima del Vicolo della Cecchignoletta i sondaggi preventivi hanno permesso di riconoscere, sull'antico tracciato dell'Ardeatina, le tracce di una biforcazione verso sud ovest; questo diverticolo, costituito da una profonda tagliata stradale, probabilmente già in uso tra il tardo periodo arcaico e la prima età repubblicana (fine V secolo a.C. - inizi del IV secolo a.C.), attraversava la città militare della Cecchignola e proseguiva verso la moderna Via Laurentina.

 

Nel 1934 nei pressi del bivio fra quest'ultima e Via dell'Acqua Acetosa Ostiense, durante la costruzione di una scuola elementare, sono riemersi i resti di questa strada basolata, probabilmente rimasta in uso fino ad epoca imperiale.

 

Un altro percorso viario, proveniente dalla tenuta delle Tre Fontane, tagliava il comprensorio da ovest; questa strada, riemersa agli inizi degli anni '90 durante la costruzione dei serbatoi idrici ad est del quartiere Colle di Mezzo, si dirigeva, una volta superata la cisterna romana di torre d'Archetta all'interno della città militare, verso l'attuale percorso di Via Laurentina, nei pressi dell'area di Casale Massima.
 

 

Riferimenti bibliografici:

 

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AA.VV., Originile Romei, 1980

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AA.VV., Gli Etruschi e Roma, 1981

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